Occorre un ambizioso programma pedagogico: formare una nuova figura di architetto generalista in grado di esercitare un ampio controllo che riporti l’architetto al centro degli interessi progettuali. 

1.1  Lo stato della professione durante la prima edizione

Un terzo degli architetti europei sono Italiani nel numero di 145.000 circa. Nel 2010 il Consiglio Nazionale degli Architetti commissionò al Cresme, una ricerca sullo stato dell’arte della professione; il risultato fu una fotografia nera, ma quello che è peggio è che la crisi non aveva toccato i massimi livelli.

É indubbio che la professione sta vivendo la peggiore crisi dal dopoguerra, o probabilmente epocale.

Probabilmente stiamo vivendo un passaggio epocale come quello che si ebbe dall’età industriale e dell’informazione avvenuta durante la crisi degli anni 70.

Avverrà un passaggio di forma; il nostro modo di comunicare cambierà fisionomia, l’aspetto (i nostri gadget tecnologici sono molto diversi rispetto anche solo cinque anni fa) e il modo di comunicare (quanti di voi digitavano un tweet regolarmente tre anni fa?). La forma del nostro lavoro cambierà, progetteremo su  internet che avrà le sembianze di una nuvola (la piattaforma cloud).

Sta di fatto che occorre reimpostare la nostra professione alla luce di questo cambiamento, ma occorre tracciare anche una diagnosi sul malessere attuale della professione.

Il quadro clinico sintomatico possiamo sintetizzarlo in:

– La perdita dell’autorevolezza

– La cultura del consumismo

– L’industrializzazione del processo edilizio

– La crisi , la concorrenza, i falsi miti

 

La perdita dell’autorevolezza

 

Con una media di un architetto ogni quattrocento abitanti (infanti inclusi), la professione è decisamente inflazionata. Il 40%, secondo Cresme, ha meno di quarant’anni e considerando anche lo stallo attuale dell’edilizia, non lavorano.

Negli anni ’60, periodo d’oro dell’architettura Italiana, l’architetto/designer stava come il  sarto/stilista fautore della nascita del pret a pòrter italiano negli anni ’70 e ’80”; ovvero le figure protagoniste della nascita  del Made in Italy.

Oggi gli architetti non hanno più autorevolezza; sono assolutamente soggiogati dal “potere”   dei costruttori, dei politici, degli amministratori pubblici che sfruttano l’eccessiva offerta determinata da un numero sempre crescente di professionalità che, sfruttando vuoti normativi, fanno si che l’offerta ecceda in maniera superiore alla domanda, per cui si tende generalmente ad  abbassare in maniera sproporzionata e non dignitosa i prezzi, costretti a cedere sulla qualità.

Colpa anche di molte strozzature “culturali” che ormai si sono sedimentate nel pensiero collettivo, uno tra tanti, il pensiero che l’architetto è sostituibile, a differenza del geometra e dell’ingegnere.

Un indicatore della perdita di credibilità o della crisi del settore è la pubblicità su Groupon ( molti analisti economici per individuare i settori in crisi analizzano  questa piattaforma ); cosi accanto ai ristoratori, centri estetici ecc., troviamo gli studi di architettura che si offrono a prezzi stracciati.

A nulla è valso l’intervento del Consiglio Nazionale degli Architetti P.P. e C. che ha invitato gli Ordini ad attivare una procedura per segnalare all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato eventuali pratiche commercialmente scorrette messe in atto da Groupon,  infatti, tale offerta può indurre il consumatore a ritenere che prestazioni professionali complesse possano essere svolte con costi irrisori e a pensare che il “Professionista” sia  “ladro”, un parassita.

Il consumatore italiano medio, è  convinto che “le idee non si pagano,” e che l’architetto sia una cosa superflua.

Non era così nel passato, l’attività dell’architetto era considerata e stimolata dalla norma; nell’Italia unificata l’attività edilizia era essenzialmente regolata dal Codice Civile e dalla Legge sull’Esproprio del 1865 che sanciva, tra l’altro, la nascita del “Regolamento Edilizio e di Igiene”.

Fin dalla nascita dei primi regolamenti edilizi appunto, fu prevista l’introduzione di un organo consultivo del Sindaco per l’espressione di pareri sulle costruzioni, tale organo dapprima fu chiamato “Commissione d’Ornato” e poi “Commissione Edilizia” con la Legge 1150 del 1942.

A Milano il regolamento edilizio ottocentesco recitava:

… La Commissione si occupa nell’esame, e giudizio de’ disegni da eseguirsi di fronte alle Strade, ed altri luoghi  pubblici della Città…Chiunque voglia eseguire qualunque sorta di Fabbrica, o  ristauro ne presenta il disegno in duplo …Il disegno comprende la Pianta, e l’Elevazione della  fronte ed i dettaglj in una scala maggiore.…Per non esporre i disegni fati contro i principj dell’Arte a frequenti rifiuti dovranno questi essere sottoscritti da Architetti noti che rispondano alle osservazioni della  Commissione.

 

La cultura del consumismo

La progressiva perdita di senso della cultura generale a favore del nozionismo di Wikipedia; la sovrabbondanza di informazioni, delle immagini e la loro durata (quella del tempo di un post) e la sacralizzazione del Brand, ha portato alla sostituibilità dell’Architetto con il “catalogo IKEA”.

Oggi si confonde “il manufatto artistico ” con “ l’oggetto estetico”, il bello è stato oggettivizzato al ribasso, seriale e modulare, impilabile in ogni luogo dell’abitare.

Il  design “popolare” deve essere inteso in modo corretto, non come arte del popolo o per il popolo, ma, più puntualmente, come arte di massa; prodotta cioè in serie. E poiché la massa non ha volto, l’arte che la esprime deve essere il più possibile anonima: solo così potrà essere compresa e accettata dal maggior numero possibile di persone.

Una massa accolta dai “consulenti d’arredo IKEA”, eserciti in giallo che offrono i servigi all’eccitato “ospite”; disponendo, dopo il catasto,  della più grande banca dati dei nostri appartamenti e dei nostri sogni.

Emblematico il metodo progettuale  dei punti vendita delle grandi marche dove manuali di concept progettuali o di Visual Merchandiser realizzati dai Mc-designer ( notare il suffisto),  inondando gli studi di architettura distribuiti strategicamente nel mondo, per adattare il Local al  Global; architetti costretti ogni tanto a periodici pellegrinaggi ai  Flag-Store delle multinazionali.

Non stiamo qui a contestare l’Ikea, ci mancherebbe, ma capire la nostra concorrenza globale ci aiuta a scegliere meglio i nostri percorsi e i nostri potenziali mercati.

Occorre capire il “progetto-gadget” gustato dalla massa nel secolo della simpatia e dell’immaterialità, dove  gli oggetti spariscono e “se proprio non possono ancora sparire completamente, almeno che si rendano sopportabili essendo simpatici”.

Alla luce di ciò occorre capire se ci convenga perdere tempo a far coincidere pianta, prospetto e sezione proponendo un progetto originale al cliente supponente, piuttosto che proporgli un adattamento di qualche architettura scaricata in giro nella rete, opportunamente foto ritoccata magari da qualche sito indiano.

C’era una volta il decoro. Lo si trovava nel vivere civile, nelle norme di comportamento, nel galateo comunemente praticato, nell’esteriorità, nei rapporti interpersonali, ma anche nella vita pubblica e nel mostrarsi medesimo delle città. Oggi il decoro sembra invece essere scomparso.

Il fatto è che decoro e  architettura sono state sempre due metà della medesima sfera; il decoro era  altamente considerato nella società borghese tra Otto e Novecento,  infatti, come dicevamo, le  commissioni edilizie di quell’epoca,  erano appellate “Commissioni di Ornato” e curavano non solo del rispetto delle norme edilizie e igieniche ma altresì l’apparenza esterna, il “bello”.

Era il bello con cui Croce elaborava la sua “Estetica”, riconosciuto dal “gusto”, da quella capacità di riconoscerlo. Una capacità che la nostra società ha perso.

Il tramonto del gusto nella cultura occidentale equivale al tramonto dell’architetto, non è certamente tramontato il bello, ormai codificato, serializzato, veloce da preparare e consumato in grossi supermercati,  in una sorta di Mc-design .

 

Dicevamo la sostituibilità dell’architetto … chiudiamo riportando pari pari dal sito dell’Ikea:

“Progetta gli interni della tua abitazione con l’aiuto dei planner IKEA. Grazie al nostro software dal facile utilizzo, puoi scegliere i mobili che si addicono perfettamente alle dimensioni delle tue stanze. Sperimenta con diverse combinazioni, scambia le posizioni degli elementi e prova vari stili fino ad essere soddisfatto del risultato. Puoi visualizzare e stampare le opzioni migliori, con tutte le misure, proprio come gli architetti.”

 

 

L’industrializzazione del processo edilizio

La costruzione industrializzata si è diffusa in Italia all’inizio degli anni ’60, quindi molto in ritardo rispetto alle esperienze delle altre nazioni europee. Era stata rifiutata come modello strategico per la ricostruzione alla fine della seconda guerra mondiale, quando invece si affermava nel resto d’Europa, a causa delle scelte politiche che avevano preferito utilizzare il comparto edilizio come volano per l’economia e come strumento per ridurre la disoccupazione, assorbendo soprattutto manodopera non specializzata.

E’ solo alla fine del miracolo economico che l’obiettivo dell’industrializzazione viene riconsiderato trovando le condizioni economiche, sociali e politiche per affermarsi: a questo punto occorre infatti realizzare a basso costo e rapidamente milioni di metri cubi di edilizia residenziale pubblica,  indispensabile per l’inurbazione di massa e le opere necessarie a seguito della riforma scolastica. In questa emergenza costruttiva si assiste, inoltre, ad un fenomeno di carenza di mano d’opera nell’edilizia, dovuta alla diminuita disoccupazione negli anni del boom. La prefabbricazione e l’industrializzazione edilizia sembrano la soluzione cercata.

Però, i primi risultati deludenti portano a rivedere il problema dell’economia di scala: le soluzioni tecniche scadenti gemmavano in  esiti architettonici discutibili, tranne alcuni casi esemplari. Prende così corpo la strada più radicale della industrializzazione globale del settore edilizio. E’ questa la fase più importante dell’industrializzazione che vede nella razionalizzazione del processo produttivo e di cantiere il cuore della sperimentazione.

L’industria italiana comincia a brevettare  nuovi sistemi costruttivi, rompendo il monopolio straniero. Parallelamente alla sperimentazione in cantiere si innesca un dibattito che vede coinvolta in prima linea l’Università, in particolare la ricerca scientifica sull’edilizia viene indirizzata sull’unificazione dimensionale, sulla standardizzazione e sul controllo della qualità, sulla programmazione e soprattutto sulle metodologie di progettazione.

Anche l’impresa edilizia si aggiorna mutando per la prima volta dopo decenni l’approccio al cantiere, che in Italia era rimasto invece saldamente ancorato, nel dopoguerra alla realizzazione  in opera.

Infine, una delle più interessanti ripercussioni della prefabbricazione nella ricerca architettonica italiana si verifica con il massimo avvicinamento alla costruzione edilizia del settore del design. Sul tema della prefabbricazione, il designer, estraneo alle elaborazioni metodologiche che prevalgono nella progettazione dei sistemi, si assume il compito del disegno dell’elemento costruttivo, con risultati in alcuni casi di altissima qualità che contribuiscono alla diffusione del mito del “Made in Italy”.

Ma nei decenni successivi l’industria ha creato sistemi sempre più economicamente vantaggiosi che si sono tradotti  in  raccapriccianti assottigliamenti dei muri, in  figure professionali “utensili”  e  in un’ inondazione di schede tecniche degli elementi edilizi.

Cosi anche  il più piccolo costruttore ha il suo “ufficio tecnico” gestito dal geometra di turno; il progetto è diventato una sommatoria di schede tecniche da allegare al Permesso di Costruire.

Ma mano che l’industria delle costruzioni diventava di massa e il progetto un’operazione industriale  e standardizzata, l’industria ha cominciato ad espellere gli architetti.

L’importante che sia tutto a norma e infatti, come si è visto con il  terremoto in Emilia Romagna del 2012,  di norma si muore in Italia.

L’autodistruzione industriale dell’Emilia è stata causata, dall’assenza di umanità; quell’umanità professionale di cui è dotato l’architetto, una figura che probabilmente agisce, o dovrebbe agire, secondo la regola d’arte e  la coscienza critica del buon padre di famiglia.

Il Procuratore capo di Modena, Vito Zincani, nell’annunciare  l’apertura di un inchiesta relativa alle vittime dei crolli avvenuti in provincia di Modena a causa del sisma ha detto che la “politica industriale a livello nazionale sulla costruzione di questi fabbricati è una politica suicida”.

La crisi , la concorrenza, i falsi miti

E’ in corso un periodo di recessione che ha colpito più di tutti il settore dell’edilizia; mai, nella storia del nostro paese, abbiamo avuto tante case vuote, tra invenduto e sfitto.

La prospettiva di una crescente concorrenza di ingegneri, di geometri e società di ingegneria, e, in un orizzonte di calo della domanda, un progressivo incremento del numero stesso degli architetti, disegnano per l’architetto stesso un quadro nefasto.

Dall’ Osservatorio dell’OICE ci dicono che  “Non soltanto non si riescono a mettere in campo risorse per la progettazione né soluzioni per il gravissimo problema dei ritardi nei pagamenti , ma si continua a intervenire sul quadro normativo a volte senza rendersi ben conto delle conseguenze. È il caso, ad esempio, della soppressione delle tariffe disposta dal Decreto Liberalizzazioni che creerà problemi non di poco conto alle stazioni appaltanti nel calcolo della base d’asta e nella definizione dei requisiti di partecipazione alle gare”.

Anche gli ultimi provvedimenti  in materia di società tra professionisti, per rispondere ad esigenze che nulla hanno a che fare con il settore delle professioni tecniche, non fa altro che creare confusione e problemi rispetto a regole consolidate che hanno consentito all’ingegneria e all’architettura organizzata di svilupparsi secondo modelli efficienti e moderni.

Per non parlare dalla concorrenza sleale delle Università che mettono su veri e propri studi professionali con soldi pubblici, offrendo il ribasso più sgraziato alle amministrazioni pubbliche.

Il settore della progettazione ha invece bisogno, oltre che di risorse economiche, di stabilità del quadro normativo.

Una norma che afferma le libere professioni come  punto di riferimento irrinunciabile del nostro sistema economico; per la terzietà nei confronti degli interessi economici di impresa, per l’ elevato valore aggiunto delle prestazioni, le capacità di innovazione, le potenzialità di espansione e l’alto valore produttivo ed occupazionale.

In sintesi l’Architetto non può e non deve competere con le situazioni on-line che offrono certificazioni energetiche a prezzi stracciati

 

In questa situazione di stallo del mercato, non stupisce che architetti, ingegneri e costruttori siano disposti a lavorare gratis o in perdita pur di ottenere incarichi; a Torino il meccanismo del ribasso ha portato a sconti del 100%: è il caso di un’impresa di perforazione che ha offerto gratis alcuni servizi pur di aggiudicarsi l’appalto per la sistemazione del ponte sulla Dora” ( La Repubblica, 1 aprile 2010 )

 

Nel 2013 L’ Accademia Di Architettura Mendrisio è diventata il laboratorio di un ambizioso programma pedagogico: formare una nuova figura di architetto generalista in grado di esercitare un ampio controllo che riporti l’uomo al centro degli interessi progettuali.

 

1.5 Ipotesi di Futuro

In questo periodo di crisi fare delle previsioni  è molto azzardato, ma  in ogni caso occorre fare delle considerazioni.

Prima o poi ci sarà l’esigenza di  un “New Deal” europeo, politicamente spendibile nella pubblica opinione ed economicamente vantaggioso per i Ministri dell’Economia dell’Eurozona e per il settore interessato dall’architettura. Sinteticamente individuiamo  quelle che per noi potrebbero essere dei potenziali ambiti di lavoro:

 

– Risparmio  energetico

– Infrastrutture urbane nodali e lineari

– Messa in sicurezza e valorizzazione del patrimonio immobiliare

– Progettazione strutturale

 

Risparmio  energetico

Siamo in una fase cruciale, in una fase epocale che sarà determinante per lo stile e la qualità della vita nei prossimi decenni di questo secolo.

Oggi un europeo consuma mediamente 50.000 KWh. di energia,  500 volte di più di quello che è in grado di produrre. Senza energia l’uomo sarebbe costretto a ritornare ad una società arcaica; senza energia non funziona niente.

Risparmio energetico significa ridurre i consumi di energia necessaria per i nostri bisogni o le nostre attività e si può ottenere sia modificando le nostre abitudini, cercando di limitare gli sprechi, sia migliorando le tecnologie che sono in grado di trasformare e conservare l’energia perfezionando così l’efficienza energetica.

Il 40% dell’energia del fabbisogno in Europa finisce negli edifici, al secondo posto troviamo la mobilità il trasporto, al terzo posto troviamo l’industria.

Infatti è proprio la vetustà del patrimonio edilizio italiano che incide maggiormente  sul livello dei consumi energetici: oggi un’abitazione con trent’anni di età consuma in media 180-200 KWh/mq/anno mentre un edificio nuovo realizzato in classe C (che oggi è lo standard minimo nelle nuove costruzioni) consuma in media tra 30 e 50 KWh/mq/anno. Nel 2009 oltre il 35% dell’energia impiegata in Italia è stata consumata dagli edifici (riscaldamento, luce, acqua calda, ecc), per un volume pari a 46,9 milioni di tonnellate di petrolio.

Per cui non abbiamo scelta: dobbiamo arrivare a case a consumo zero e non abbiamo molti  anni a disposizione.

L’Architetto è una figura professionale che più si presta a questa sfida, abbandonando il modus operandi ingegneristico e seguendo quello architettonico, realizzando un’architettura bioclimatica a consumo zero, progettando le  geometrie delle forme, minimizzando gli impianti tecnologici e recuperando l’architettura tradizionale.

 Le Infrastrutture

Naturalmente la crisi del settore dell’edilizia è una preoccupazione costante dei nostri governati; da sempre considerato volano per l’economia a scapito  della sua sostenibilità ambientale o economica.

Scelte sbagliate, anche nel campo dell’edilizia  hanno portato l’Europa a confrontarsi con la più grande crisi economica del dopoguerra e nonostante ciò il Continente  necessita di infrastrutture nuove per acquisire competitività sui mercati internazionali.

Trasporti, reti telematiche e trasmissione di energia sono ancora  i punti deboli del Sistema Europa.

La crisi genera sempre cambiamento, soprattutto in fase di pianificazione; infatti  per reperire fondi in un contesto storico particolare in cui le casse statali sono prosciugate è emersa l’idea di creare degli strumenti finanziari ad hoc: i Project bond.

I project bond sono emissioni obbligazionarie finalizzate alla realizzazione di un progetto e soprattutto il loro “rimborso” dipende dai flussi finanziari che il progetto è in grado di assicurare. Si tratta di uno strumento particolarmente adatto a coinvolgere capitali privati nel finanziamento di opere infrastrutturali, soprattutto in una fase storica in cui le tradizionali fonti di finanziamento (i bilanci statali e il credito bancario) non sono in grado di assicurare le risorse necessarie. Secondo le stime gli investimenti attivabili in Italia dai project bond ammonterebbero a 10-15 miliardi.

Nuovo impulso dovrà essere  dato nel campo della riqualificazione e la valorizzazione di aree urbane degradate e delle “Città fondate sull’automobile e sul consumo di suolo”, infatti le nuove strategie tenderanno a fermare il  consumo del suolo e a  sviluppare la riqualificazione edilizia, efficienza energetica, housing sociale, rilancio del trasporto pubblico locale”.

Dal Rapporto Censis-Ance dedicato a “Un Piano per le città”, il patrimonio edilizio esistente è “una grande risorsa oggi mal utilizzata che richiede un recupero di qualità e di funzionalità con particolare attenzione al risparmio energetico, al contenimento del consumo di suolo e alla necessità di dare risposta alla nuova domanda abitativa”. Lo studio evidenza lo sviluppo disordinato delle città italiane che hanno seguito un modello fondato sull’automobile e che ha determinato un ingente spreco di suolo.

Più semplice il discorso per i provvedimenti per l’edilizia che saranno sempre saranno di tipo fiscale: bonus ristrutturazioni e incentivi per la  riqualificazione energetica.

 

Messa in sicurezza e valorizzazione del patrimonio immobiliare

Lo stato italiano dispone di un fondo sovrano, forse il più consolidato del mondo; dispone di un patrimonio immobiliare alienabile di circa 300 di miliardi euro, per non parlare del patrimonio inalienabile, (il brand del Colosseo è stimato circa a 90 miliardi di euro).

Per fare qualche paragone il debito pubblico italiano è di 2000 miliardi di Euro, il valore del patrimonio immobiliare italiano, catastalmente stimato, si aggira intorno ai  6.335 miliardi di euro.

Il valore del brand dell’intero patrimonio artistico e culturale italiano è stato stimato dall’Ufficio Studi della Camera di Commercio di Monza e Brianza in oltre 600 miliardi di euro sulla base della conoscenza internazionale, dei flussi turistici (nazionali ed internazionali), del valore economico del territorio, dell’accessibilità multimodale.

Stiamo parlando del solo patrimonio messo a regime e valorizzato.

Infatti non è stato capitalizzato quello che non è conosciuto, quello che è nascosto  per esempio nei magazzini dei musei o tra i vicoli dei centri storici; per la sua manutenzione, gestione e valorizzazione è facile fare qualche calcolo molto grossolano, potrebbe impiegare a tempo pieno circa 100.000 lavoratori ”intellettuali”.

I recenti avvenimenti in Emilia Romagna hanno dimostrato come una debole scossa, classificata come “moderata”, basterebbe  a distruggere parte del  patrimonio edilizio italiano.

Esistono molte strozzature “culturali” e il bene immobiliare viene visto come qualcosa di eterno.

La gente è convinta che il cemento armato è millenario, ma è inconsapevole che abbisogna di una manutenzione periodica e costante; che lo stesso patrimonio potrebbe costare di meno se venisse  “curato” da un professionista.

L’ingente patrimonio residenziale dall’immediato dopoguerra sino ai primi anni ’80, oggi soggetto ad un degrado fisico e ad un’obsolescenza funzionale importanti, ha determinato negli ultimi anni una riflessione approfondita sulle strategie gestionali e sulle metodologie ed opportunità degli interventi di riqualificazione.

È possibile rilevare che ad oggi, in Italia così come in Europa, una rilevante percentuale degli edifici residenziali ha superato il limite di efficienza prestazionale in assenza di interventi, rendendo pertanto necessaria una ricognizione diffusa del deficit qualitativo del comparto abitativo.

Dei 59 milioni di abitazioni censite al Catasto, 10 milioni sono state realizzate tra il 1946 e il 1971; gli edifici con più di 40 anni di età arrivano al 50% nelle grandi città. Il 70% degli edifici residenziali ha infatti un’età superiore ai 30 anni, mentre il 35% supera i 50 anni di vita.

All’emergenza abitativa del secondo dopoguerra, principalmente dovuta ai fenomeni dell’inurbamento e della crescita demografica, è stata data una risposta di tipo prevalentemente quantitativo con una scarsa attenzione ai livelli di qualità globale delle costruzioni. Un patrimonio importante il cui recupero costituirà nel medio periodo una percentuale significativa delle attività nel settore edilizio, decisamente superiore agli interventi di nuova costruzione. La congiuntura economica in atto accentua tale tendenza e si ripercuote con forza sugli investimenti nelle costruzioni ed in particolare sul settore residenziale, facendo registrare nel 2011 oltre il 60% della produzione edilizia in interventi di riqualificazione.  Il recupero del costruito rappresenta dunque una sfida di ampia portata che coinvolge a diversi livelli tutti gli attori; la componente politica, la proprietà e l’utenza, i tecnici, la produzione edilizia e il credito.

In particolare la  proprietà e l’utenza devono essere in grado di valutare le opportunità di un miglioramento prestazionale del costruito, in termini di riduzione dei costi di gestione e di redditività degli investimenti, nonché di qualità della vita.

 

IMMAGINARSI

L’introduzione di nuove tecnologie ha sempre prodotto cambiamenti nella società; questo sembra chiaro. Il problema oggi è che, mentre le tecnologia ha avuto una rapida accelerazione, il cambiamento sociale non ha la stessa andatura. C’è una distanza crescente fra l’evoluzione tecnologica e quella sociale: è questo vuoto culturale che crea problemi.

Tecnologia, evoluzione sociale e aspetto umano dovrebbero essere in equilibrio.

Un equilibrio ormai capito dalle più avanzate aziende nel mondo.

<< Per esempio la Gore ha un fatturato di milioni di dollari ma mantiene un’atmosfera molto umana, familiare, in tutte le sue fabbriche. Ciascun edificio è occupato da non più di 200 persone, nessuno è più alto di sei piani. Le loro strutture hanno la misura giusta, tutto è a misura umana, in contrasto con le fabbriche da 5.000 o 10.000 persone del mondo industriale. Nell’era industriale la misura umana era stata rimossa, ora sta  ritornando. Nella sede della Microsoft (che loro chiamano campus) gli edifici sono meno alti degli alberi.>>

Le organizzazioni high tech creano un’atmosfera, un ambiente, creano il “luogo”, l’identità.

La tecnologia è parte integrale dell’evoluzione culturale ed è, naturalmente, il prodotto creativo della nostra immaginazione, dei nostri sogni e delle nostre aspirazioni. Ma la scienza e la tecnologia non ci dicono qual è il senso della vita; così esaminiamo e ri–esaminiamo la natura della nostra umanità attraverso famiglia e comunità, religione e spiritualità, arti e letteratura – tutte cose che rientrano in ciò che viene chiamato dai “visionari”: High Touch.

Più tecnologia introduciamo nella nostra società, più le persone vogliono stare insieme. Al cinema, ai concerti, a fare la spesa, al ristorante, in ufficio.

Dopo l’invenzione della televisione, molti avevano previsto la morte delle sale cinematografiche. Non avevano capito che non si va al cinema solo per vedere un film, ma per piangere o ridere insieme a 200 altre persone.

<<High Tech è la teleconferenza, High Touch è la stretta di mano. High Tech è aggiornare gli impianti, High Touch è educare le persone. High Tech sono le  matematiche di  progetto, High Touch  sono  le emozioni  che un progetto procura.  Le risorse umane sono il fattore di successo nella concorrenza globale.>>

La definizione High Tech / High Touch può avere molti significati pratici. Per esempio High Tech vuol dire accelerare i tempi, spingere tutto verso l’immediato, il “tempo reale”;  High Touch significa avere tempo. High Tech è chiedere all’individuo di produrre di più in tempi più brevi; High Touch è dare valore al processo, consentire lo spazio per la scoperta.

Tutto questo si applica anche alle organizzazioni, nelle imprese private come nell’amministrazione pubblica.

Nel mondo di oggi, i cambiamenti sociali sono il risultato dei cambiamenti tecnologici. Il successo e la sopravvivenza nel prossimo millennio saranno determinati dalla nostra capacità di capire la relazione e l’interdipendenza fra le fondamentali esigenze ed emozioni umane e le possibilità pratiche aperte dalle nuove tecnologie. Il nostro successo nell’economia, nel governo e nelle relazioni umane dipenderà da quanto bene sapremo combinare gli elementi del bisogno umano di High Touch con un mondo High Tech.

Prima  la ricchezza di una nazione si misurava in base alle risorse naturali e al capitale. Poi si è dimostrato che un’economia può crescere anche senza risorse naturali; e oggi il capitale è una commodity globale. L’unico fattore rimasto di superiorità competitiva sono le risorse umane.

I migliori analisti americani vedono nella sintesi High-Tech/High-Touch la migliore strategia economica  per superare la crisi.

Vincono le aziende italiane che hanno  una produzione  “sartoriale” non seriale, il nostro “Made in Italy” non compete sull’Hi-Tech ma sul High-Touch vedi, la Ferrari, la Vespa e ora la Fiat 500 negli  USA.

L’esperto  dell’Hi Touch , sembra il ruolo disegnato su misura per l’architetto “tradizionalista”, una figura professionale che curi esclusivamente “l’ornato”, una figura professionale che porti il tocco,  nel design, nel restauro, nel progetto ; ovvietà per noi ma non per la “massa” e gli opinion leader, non ancora almeno.

E’ innegabile che stiamo lasciando l’era dell’informazione per approdare all’era dell’attenzione, della consapevolezza; una sorta di eco-sostenibilità dell’informazione di conseguenza un’ attenzione al progetto.

Un progetto che metabolizza nuovi strumenti concettuali e pratici per affrontare il sovraccarico di tecnologia, di informazioni e la loro rapida obsolescenza (Information overload).

Gli architetti che sfideranno l’ingegnere nell’High Tech, nella specializzazione sono destinati a soccombere, un architetto che si specializza per forza di cose entra in concorrenza con l’ingegneria, con i laureati del nuovo corso universitario iperspecialistico  “esprit du temp”. Meglio curare le specialità.

L’architetto  dovrà certamente gestire  Hi Tech, o meglio Surfare  sulle tendenze , ma raccoglierne sempre il precipitante, “fare sintesi”semplificare” “ottimizzare le conoscenze”,  ma dopo occorre sintetizzare il futuro con Hi Touch.

E il mondo cambierà quando troveremo sulla bacheca degli annunci :

 

“Wanted  Architect/designer/developer at High Touch”.

 

1.2  Lo stato della professione durante la seconda  edizione

Purtroppo la crisi Italiana si è rivelata sistemica, è dalla capanna di Marc-Antoine Laugier  che la figura dell’architetto non vive una crisi cosi nera, solo una legge a favore dell’architettura e della valorizzazione del suo patrimonio edilizio potrà essere risolutiva.

Infatti nel  Gennaio 2014 il Consiglio Nazionale degli Architetti scrive al Presidente del Consiglio  Letta per richiamare l’attenzione sulla drammatica realtà degli studi professionali italiani. Nessun provvedimento è stato preso dal Governo per investire nella cultura tecnica e rilanciare lo sviluppo del settore edile che sta affondando. Non è più tempo di parole e di promesse; i centocinquantamila architetti italiani chiedono (male, ndr) azioni concrete per tutelare il proprio presente e il futuro dei loro studi, delle loro famiglie del paese.

1.2.1 Verifiche del  Futuro

Rispetto alla prima edizione abbiamo verificato  lo stato dell’arte di alcune ipotesi di futuro

1.2.1.1  Mancanza della valorizzazione  del patrimonio artistico Italiano

La mancanza di una legge adeguata è controproducente per l’Italia che nel 2014 si  è lamentata con Standard & Poor’s: poichè le agenzie di rating non  valutano  il patrimonio artistico.

1.2.1.2  Il falso mito dell’architetto specialista

Nel 2013 l’Accademia di Architettura Mendrisi, voluta da Mario Botta,  è diventata il laboratorio di un ambizioso programma pedagogico: formare una nuova figura di architetto generalista in grado di esercitare un ampio controllo che riporti l’uomo al centro degli interessi progettuali.

1.2.1.3  I project Bond

Nel  2014 è stato implementato,  in fase pilota,  il The Europe 2020 Project Bond Initiative,  il cui  obiettivo è quello di stimolare il capitale sul mercato per i progetti infrastrutturali su larga scala nei settori dei trasporti (TEN-T), l’energia (TEN-E) e le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC). Secondo la Commissione Europea, gli investimenti in infrastrutture dell’Unione europea che ha bisogno per raggiungere gli obiettivi di Europa 2020 la strategia di crescita decennale dell’UE, in questi settori potrebbe essere di  2 trilioni di euro.

Nel Settembre 2014,  Incontrando il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, il vicepresidente della Banca Europea degli Investimenti, Dario Scannapieco ha proposto di finanziare una serie di grandi opere italiane attraverso i project bond.

 

2  L’abilitazione per la professione di Architetto  

Per accedere alla professione di architetto in Italia sono richieste:

– Laurea in Architettura tab. – Classe XXX; laurea in Ingegneria edile e architettura tab. – Classe 4/S; o Architettura e Ingegneria edile – architettura tab.- Classe LM-4,(come specificato dal DPR. 328/2001 per gli esami di Stato negli Art.17 e Art. 18) e da D.M.9 luglio 2009. L’accesso alle Università in Italia è regolamentato con Decreti che ne regolano il numero programmato.

– Abilitazione professionale, che si ottiene superando un esame di Stato che consiste in quattro prove (tre scritte e una orale).

– Iscrizione all’ordine professionale degli Architetti, Pianificatori Paesaggisti e Conservatori .

L’Ordine degli Architetti – che a seguito di una recente riforma raccoglie anche i pianificatori (urbanisti), i paesaggisti e i conservatori dei beni storico-architettonici – è il supremo organo di tutela professionale, ed è organizzato su base provinciale (in base al luogo di residenza dell’architetto) e ultimamente con norma europea che equipara il Domicilio professionale alla residenza. All’interno dell’ordine vi sono attualmente diverse classi e categorie, a seconda della specifica abilitazione.

Hanno diritto al titolo di dottore in architettura i laureati secondo i vecchi ordinamenti e quelli in possesso dell’attuale laurea quinquennale; i laureati del corso di laurea quinquennale sono automaticamente detentori del titolo di architetto; gli stessi possono sostenere l’esame di abilitazione per il titolo di architetto senior, pianificatore, paesaggista e conservatore e consequenzialmente iscriversi all’ordine professionale nella sezione A.

I laureati dei nuovi ordinamenti con laurea triennale hanno diritto a sostenere l’esame di abilitazione per iscriversi alla sezione B. Il loro titolo sarà quello di architetto iunior, ed avranno alcune limitazioni nell’ambito professionale, ovvero potranno svolgere attività di collaborazione alle attività di progettazione degli architetti e degli ingegneri e svolgere incarichi in forma autonoma relativamente a costruzioni civili semplici con l’uso di metodologie standardizzate.

La legge italiana riconosce prerogative equivalenti a quelle degli architetti anche agli ingegneri civili o edili regolarmente iscritti al rispettivo ordine, per quanto riguarda l’esercizio della professione. Pertanto anche un architetto  si può iscrivere all’ordine degli ingegneri e viceversa.

Rimane campo esclusivo dell’architetto l’intervento su manufatti storico-architettonici vincolati dalla legislazione specifica.

Altri professionisti del settore edilizio sono il geometra e il perito industriale specializzato in edilizia (perito edile); tali figure professionali hanno varie limitazioni rispetto ad architetti ed ingegneri ed anche, a seguito di un diverso e più breve percorso di studi, finalizzato all’apprendimento di aspetti basilari e complementari del lavoro nell’edilizia, nell’estimo, nella topografia e nella progettazione di medie strutture anche civili.

 

Struttura dell’Esame di Stato per l’abilitazione della professione di architetto

L’Esame di Architetto  è articolato nelle seguenti prove:

– una prova pratica avente ad oggetto la progettazione di un’opera di edilizia civile o di un intervento a scala urbana;

– una prova scritta relativa alla giustificazione del dimensionamento strutturale o insediativo della prova pratica;

– una seconda prova scritta vertente sulle problematiche culturali e conoscitive dell’architettura;

– una prova orale consistente nel commento dell’elaborato progettuale e nell’approfondimento delle materie oggetto delle prove scritte, nonché sugli aspetti di legislazione e deontologia professionale.

Tratto dal: https://www.grafill.it/libri/michele-giuliani/architetto-manuale-per-l-esercizio-delle-professione-e-l-esame-di-stato_88-8207-854-6.html

 

 La mancanza di una filiera o di un filo rosso che colleghi tutte le discipline, nelle vita universitaria o durante il tirocinio  porta ad approcciare con pochi strumenti cognitivi  la professione di architetto, trovando  impreparato il neolaureato.

Il nostro Corso permette di ricucire tale filiera.